Picco della cattiva reputazione
Gli atleti di SCOTT Freeski Sam Cohen e McKenna Peterson avevano pensato a un viaggio in Alaska in primavera durante la stagione 2017. Tuttavia, con uno strano evento ventoso che ha distrutto la massa nevosa all’inizio di gennaio, assieme a quella sulla maggioranza delle catene montuose costiere in aree ben conosciute come Haines, il team è stato costretto a guardare più nell’entroterra. Venendo su dalla zona conosciuta come la parete della cresta Brothel, annidata nella catena Fairweather in Alaska, Sam e compagni hanno deciso che questo era il posto giusto e si sono fermati per tre settimane di sci e avventura.
Sam Cohen
Passare il tempo sulle montagne è sempre stata una parte enorme della mia vita, non posso vivere senza. Il mio primo viaggio in Alaska è stato nel gennaio 2012: io e alcuni amici volevamo accamparci e sciare sul Passo Turnagain. Siamo andati per quattro giorni e ci siamo ritrovati sepolti dalla neve. Quando infine si è schiarito abbiamo fatto alcune delle migliori discese delle nostre vite. È stata un’esperienza di umiltà a dire il meno. I successivi quattro giorni sulle montagne dell’Alaska ho imparato a sciare. La maggior parte della mia stagione primaverile durante quegli anni l’ho passata a Haines. Lo scorso inverno un vento artico di mezza stagione ha spazzato le montagne del manto nevoso tipico dell’Alaska. Con condizioni di neve continentale, Haines non era esattamente il miglior posto dove stare, ma l’Alaska ha sempre qualcosa da offrire. Le montagne sono senza fine e dietro ogni angolo, in ogni anfratto pare sempre apparire qualcosa di nuovo.
Sono volato a Juneau il 23 marzo 2017, con l’idea di campeggiare per tre settimane alle pendici della catena del Fairweather. I miei viaggi a Haines effettuati in passato erano stati tutti in elicottero, che era un’incredibile opportunità di scoprire queste montagne e come sciarci. In Alaska, con il tempo così variabile, si finisce col stare in paese un bel po’ e sciare poco. Campeggiare ci avrebbe permesso di stare sulle montagne per l’intera durata del nostro viaggio e vivere al massimo l’esperienza.
Poco dopo il mio arrivo a Juneau, ho preso il traghetto per Haines e sono salito sul bush plane con il pilota Drake Olson, per dare un’occhiata da vicino alle montagne. Avevano un aspetto brullo: il vento artico di mezza stagione aveva spazzato la maggior parte delle zone che conoscevo fino ad arrivare alle pietre, e dovevamo ora affrontare condizioni molto brutte: un manto nevoso sottile e instabilità diffusa. Non le condizioni tipiche per un posto lontano dall’oceano. In tutta onestà, pareva deprimente.
Ci siamo mossi secondo il nostro piano, anche con le condizioni della neve terribili. Dopo un bel po’ di ricerca di neve bella abbiamo finalmente trovato qualcosa di valido. Drake ha portato il nostro team a quella che sarebbe stata la nostra casa per le prossime tre settimane, e ci siamo messi al lavoro. Dopo aver combattuto con la nausea, la mancanza di neve adeguata e semplici problemi di gruppo, abbiamo trovato il ritmo e finalmente tutto ha iniziato a funzionare. Approfittare dell’occasione quando si presenta e guardare oltre le difficoltà è stato quello che ha reso questo viaggio uno dei migliori che io abbia mai fatto. Mentre il tempo passato sul ghiacciaio volgeva verso la fine, iniziavo a sentire un certo tipo di appagamento. Abbiamo dato del nostro meglio con quello con cui ci siamo ritrovati ed è stato tutto ciò che potevamo fare.
Nella vita è importante accontentarsi di quello che si ha. In questo viaggio, le montagne non hanno offerto le condizioni migliori, ma ci hanno permesso di stare all’aperto per un periodo di tempo esteso e di vivere un’esperienza indimenticabile. Ogni giorno là fuori è una sfida unica, sia scalando e sciando una grande linea, o sciogliendo la neve alle 3 di notte per iniziare una giornata lunghissima. La lotta per affrontare tutte le variabili impreviste che si incontrano diventa naturale, mentre ci si spinge verso ciò che si è deciso di fare. La gente con cui si è assieme diventa quasi famiglia e i legami che si sono creati in questo gruppo sono indimenticabili. Alla fine abbiamo raggiunto il nostro scopo principale, ritornare a casa. Le tante discese sono state un qualcosa in più.
McKenna Peterson
Anticipazione. Agitazione. Preoccupazione. Ambizione. Tre settimane passate su un ghiacciaio, con nessuna distrazione a parte cosa scalare e dove sciare, crea un aurea di emozioni superiori e un’intesa intensa con i ghiacciai e i picchi circostanti. Domande riguardo il manto nevoso, la qualità della neve, il tragitto, l’ignoto, rimangono in primo piano nella nostra coscienza collettiva mentre ci impegniamo per il nostro obiettivo principale. “Non ci sarà mai un buon momento per andare su questa linea”, parole di Elliot, “è una lastra di ghiaccio a strapiombo, non ci sarà mai il momento giusto, bisogna solamente farlo”. Ha ragione.
Siamo sicuri. Andiamo.
Lasciando l’accampamento nel buio totale, il freddo pungente e gli scarponi bagnati sono rinvigorenti. Passano ore di silenzio mentre facciamo scivolare un piede dietro l’altro. Il sole saluta il nostro gruppo di quattro con un cielo rosa, facendo diventare la neve beige e ammorbidendo gli umori. Rispondiamo con fischi e urla mentre il ritmo accelera. Folate di vento colpiscono la nostra pelle mentre raggiungiamo la prima transizione. Una discesa di 150 metri è necessaria per raggiungere la base della nostra ascesa al couloir: su-giù, su-giù. Henry si butta per primo e sorprendentemente trova le prime note positive del viaggio. Fumo freddo esce da dietro la sua testa mentre lo osserviamo nei suoi movimenti sciolti che effettua le prime curve. Immediatamente l’emozione raggiunge il suo punto più alto dei 20 giorni del campeggio nel ghiacciaio e aggiungiamo un altri 300 metri a questa discesa. La gioia di scendere nella neve perfetta ha la precedenza sul compito che abbiamo, e per un breve momento, la missione è sospesa. Dopotutto, la ricerca di “questa sensazione” è il motivo per il quale ci siamo isolati nel profondo backcountry dell’Alaska.
Le due settimane precedenti sono state dedicate alla ricerca di neve bella. Il nostro accampamento è circondato da linee bellissime: couloir, creste, le pareti più ripide di neve, ma tutta la neve era bruttissima. Le linee circostanti erano divertenti da scalare e terrificanti da sciare. Non potevamo fare a meno di continuare a scalare e sciare in increspature e sul ghiaccio senza bordo. Era la bellezza dei picchi che ci trascinava su. E una brutta sciata… è sempre una sciata. È stato divertente secondo un divertimento di tipo 2.
Questo invece è il divertimento di tipo 1: l’idea di salvare il nostro obiettivo e percorrere questo canalone di neve fresca paradisiaca ha attraversato ciascuna delle nostre menti, ma non è mai stata espressa. Così, ancora una volta, abbiamo iniziato a scalare. Non ci vuole molto ad arrivare in cima al couloir e guardare giù alla nostra linea. La prima occhiata dà come esclamazioni “wow” e “porca troia”. Le vette sono ripide e frizzanti, il ghiaccio sottostante cade nel dimenticatoio e chilometri più in basso, si stende la valle del ghiacciaio, piatta, perfetta e sicura. L’obiettivo su cui siamo stati ossessionati è qui, proprio qui, esteso sotto le punte dei miei sci. Sono in cima alla linea irraggiungibile.
Sto scendendo.
Giù dalla cresta, salto il crepaccio, trovo un passaggio, attraverso il prossimo crepaccio, passo (gentilmente!) sul ponte di ghiaccio, scendo attraverso le crepe, trovo il fianco inferiore, esco dalla lingua del ghiacciaio, finisco nella valle. La sciata più impegnativa della mia vita. Il successo, ben guadagnato. La gratificazione, indescrivibile. La proviamo tutti. L’adrenalina, l’ebrezza ci portano attraverso il lungo viaggio verso l’accampamento.
Ancora godendo della nostra soddisfazione, parliamo già del prossimo obiettivo irraggiungibile. Sapevamo già quali erano i nostri obiettivi prima di raggiungerli. Più rischi, più ricompensa. Un ciclo senza fine e una lezione di pazienza.
È solo un problema di tempo prima che superiamo un’altra linea irraggiungibile.